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Quell’Italia complice dell’Olocausto




Migliaia di ebrei catturati dalla polizia e consegnati ai tedeschi, senza pietà per donne, vecchi e bambini. Una macchina di morte voluta da Mussolini. Ora un libro ricostruisce le responsabilità nel genocidio. A partire dal campo di Fossoli

Sulle torrette del campo dove venivano rinchiusi gli ebrei c’erano agenti di pubblica sicurezza. A scortare il treno per Auschwitz c’erano carabinieri. Ed è stato un italianissimo commissario ad arrestare una bambina di sei anni, individuata a Venezia nella famiglia dove i genitori l’avevano nascosta, e ad accompagnarla fino a quel recinto di filo spinato alle porte di Carpi: il primo passo di un cammino che si sarebbe concluso nella camera a gas. Così come erano italiani i loro colleghi delle forze dell’ordine che dal novembre 1943 alla fine della guerra hanno dato la caccia agli ebrei in tutte le città del Nord. Retate ricostruite nel dettaglio in un volume che spazza via i luoghi comuni sulle responsabilità della Repubblica di Salò nell’Olocausto e ci costringe a guardare un capitolo della nostra storia che da 65 anni nessuno vuole approfondire. In “L’alba ci colse come un tradimento” Liliana Picciotto, la più importante studiosa italiana della Shoah, sintetizza anni di ricerche. Nelle 312 pagine pubblicate da Mondadori non fa mai ipotesi: elenca fatti, si limita ai documenti. Calcola le presenze nelle anticamere padane dei lager in base alle razioni di pane fornite, confronta diari e testimonianze, atti di processi nascosti nel dopoguerra in nome della ragione di Stato. Non usa un solo aggettivo.

Non servono, perché il risultato del suo lavoro è agghiacciante: la ricostruzione della vita e della morte di migliaia di ebrei, arrestati da italiani nei territori della Repubblica sociale, spediti nel campo modenese di Fossoli e poi deportati nei lager. Chi prese parte a questa colossale caccia all’uomo poteva ignorare la “soluzione finale”? Poteva ignorare la strage a cui stava collaborando? Era difficile credere che ultrasettantenni e bambini venissero trasferiti nel Reich per lavorare e contribuire alla macchina bellica tedesca. Quando anche i vecchietti dell’ospizio israelita di Firenze vengono caricati sui treni, nessuno a Fossoli si fa più illusioni. Ma ancora altri ebrei vengono rastrellati dai funzionari della polizia e dei residui carabinieri rimasti in servizio al Nord (la maggioranza dell’Arma si schierò con la monarchia e venne perseguitata dai nazisti), fino a pochi giorni prima della Liberazione: uomini che spesso hanno continuato a indossare la stessa uniforme nella Repubblica del dopoguerra. Il giorno della Memoria celebrato il 27 gennaio anche nel nostro Paese non dovrebbe ricordare solo le colpe altrui: ci sono grandi responsabilità italiane, di istituzioni e di singoli. La scorsa domenica Benedetto XVI nella storica visita alla sinagoga di Roma ha ancora una volta condannato l’antisemitismo e rievocato il primo grande rastrellamento, «una tragedia di fronte alla quale molti rimasero indifferenti». Ma molti altri italiani ebbero un ruolo attivo nel genocidio. Il 14 novembre 1943 il Partito nazionale fascista aveva dichiarato: «Tutti gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». Due settimane dopo il ministro dell’Interno ne ordinò l’arresto e l’internamento.

Al momento dell’armistizio nel territorio della Repubblica sociale erano rimasti intrappolati 32-33 mila ebrei: poco meno di un terzo venne ucciso dai nazisti. Le vittime identificate della Shoah sono 8948, ma c’è la certezza che altre centinaia di persone siano sparite nei forni crematori. Dopo l’8 settembre 1943 i nazisti portarono avanti i primi rastrellamenti da soli: il più drammatico quello del Ghetto di Roma, con 1.020 persone catturate di cui 824 assassinate poche ore dopo l’arrivo ad Auschwitz-Birkenau. Ma già dal 3 novembre 1943 i reparti speciali delle Ss vennero affiancati dagli agenti delle questure: insieme agirono a Firenze, Genova, Bologna, Siena, Montecatini. Da dicembre tutte le operazioni passarono nelle mani dei poliziotti italiani, che per non essere inferiori all’alleato, “ripulirono” subito il ghetto diVenezia e quello di Mantova. Per gran parte del 1944 furono solo le forze dell’ordine italiane ad alimentare la macchina dello sterminio, eliminando le comunità ebraiche dell’Italia centro-settentrionale. Vennero creati 29 campi provinciali, con una struttura centrale, l’anticamera fascista dell’Olocausto: Fossoli, una serie di baracche e recinti a pochi chilometri da Carpi costruiti per custodire i prigionieri di guerra inglesi. Fossoli è rimasto totalmente sotto controllo italiano fino al febbraio 1944: non c’erano crudeltà, né fame, né malattie. Gli internati non erano obbligati al lavoro e potevano scambiare posta con l’esterno. Insomma, nulla a che vedere con le condizioni dei lager nazisti. Ma la sorte finale era la stessa. Si saliva sui treni per Auschwitz e all’arrivo chi non era giudicato utile per il lavoro veniva assassinato. «Gli italiani riempivano Fossoli, i tedeschi lo svuotavano».

E questo meccanismo è proseguito anche dopo l’insediamento a Fossoli delle Ss, che lasciarono agli agenti della questura solo la sorveglianza delle recinzioni esterne, rendendo più dure le condizioni di vita. Il primo convoglio partì il 22 febbraio 1944 con circa 640 persone: 153 furono selezionate per le fabbriche, il resto finì direttamente nelle camere a gas. Tra loro Leo Mariani, un bambino di pochi mesi: la madre venne arrestata dalla polizia nell’ospedale di Firenze dove era ricoverata in attesa del parto. Venivano da 22 città diverse – da Como a Vicenza, da Pavia a Cuneo – ed erano stati tutti arrestati da agenti e carabinieri. Da Fossoli in nove mesi sono partiti 12 treni. Quello del 5 aprile 1944, per esempio, trasportò 609 persone: solo 50 sono sopravvissute al lager. Tra quelli che non sono tornati c’erano 41 ultrasettantenni e 33 bambini: Roberto Gattegno aveva solo dieci mesi. Le liste delle persone spedite verso i forni erano scelte spesso casualmente. Ricorda Nina Neufeld Crovetti, ebrea figlia di un matrimonio misto e obbligata a fare la segretaria nel campo emiliano: «Il vicecomandante Hans Haage veniva in ufficio e diceva: “Su avanti ragazza! Si comincia di nuovo, ci sbarazziamo di un bel gruppo!”. Se ne rallegrava ogni volta».

Da Fossoli partirono in 2.844, solo un decimo è sopravvissuto: tra i pochi, Primo Levi. In Italia c’erano altri due campi – quello di Bolzano e quello di San Sabba, usato anche per assassinare partigiani e oppositori politici – nelle province che erano state annesse al Reich: il Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, parte del Veneto e l’Istria. Solo da Bolzano presero la via dei lager altre 4.500 persone, altre migliaia dalla Risiera di San Sabba. Il tutto sempre con la collaborazione di italiani. I vertici di Salò trattarono la questione con la stessa freddezza burocratica dei gerarchi nazisti. Il libro si chiude con l’esposto che i familiari ariani dei deportati scrivono a Benito Mussolini: «Eccellenza, ci sono casi pietosi. Madri con bambini (fra le quali la Uggeri con una piccola di 4 anni)... donne anziane, vecchie con salute malferma… I sottoscritti vivono ore pietose, essendo privi da oltre due mesi di notizie e temono per la vita dei loro cari. Sono mariti, mogli, figli che piangono senza avere nessuna colpa». La supplica viene girata dalla segreteria particolare del Duce all’Ispettorato per la razza. La risposta del 1° marzo 1945 è raccapricciante: «Questo Ispettorato, trattandosi di misure di polizia rispetto alle quali esso ha competenza nella determinazione delle direttive di massima in collaborazione con altri dicasteri chiamati a decidere, non può avocare a sé una decisione sull’istanza degli interessati». E Liliana Picciotto conclude: «Come a dire che la macchina della persecuzione antiebraica, avviata nel 1938 dal regime fascista e radicalizzata nel 1943, non era da tempo più governabile.

Questo fatto non attenua in nulla la responsabilità che i governanti, le istituzioni, l’amministrazione, la burocrazia italiani portano pesantemente per le le sofferenze inflitte e per le migliaia di lutti provocati». In appendice al volume c’è una raccolta di testimonianze dirette. Tra tutte, la deposizione di una SS, Eugen Keller, che in un processo berlinese ha descritto il viaggio da Fossoli ad Auschwitz del 16 maggio 1944: «Cosa volesse dire Auschwitz lo seppi durante il viaggio da uno degli ebrei. Disse che Auschwitz era un campo di annientamento nel quale sarebbero stati uccisi. Dapprima non gli credetti…». Eugen Keller racconta che nel vagone sigillato una donna aveva partorito. Carolina Lombroso Calò, moglie di un eroe della resistenza, «non era fuggita dalla sua casa rifugio a Cascia di Reggello in provincia di Firenze perché non pensava che una mamma incinta con tre bambini (Elena di 6 anni, Renzo di 4, Albertino di meno di 2 anni) potesse essere arrestata. Invece i carabinieri avevano obbedito agli ordini e fermato il gruppetto». La donna e i suoi quattro bambini, incluso il neonato, furono tutti uccisi poche ore dopo l’arrivo nel lager. «Abbiamo obbedito agli ordini» è la giustificazione di tutte le Ss chiamate in causa per l’Olocausto. Ma in Germania da sessant’anni ci si interroga e ci si chiede come sia stato possibile che un popolo intero abbia partecipato al massacro. In Italia delle migliaia di ebrei consegnate nelle mani dei carnefici non si parla. Nonostante quegli ordini fossero stati emanati da Benito Mussolini, ancora oggi c’è chi ripete in modo assolutorio che «il Duce non uccise gli ebrei». Vero: si limitò a consegnarne migliaia al boia. E nel libro di Liliana Picciotto ci sono tutte le prove: un’opera definitiva, senza attenuanti.
di Gianluca Di Feo Fonte L’Espresso

15/09/1943 Rastrellamento di ebrei a Merano (Bz)
16/09/1943 Dalla stazione di Merano parte il primo convoglio di deportati dall’Italia, destinazione Auschwitz
15-23/09/1943 Rastrellamento sul lago Maggiore e uccisione di 54 ebrei
18/09/1943 Rastrellamento di 328 ebrei nel Cuneese
Settembre 1943 Rastrellamento ad Ascoli, Macerata e Chieti degli internati ebrei
28/09/1943 Arresto e successivo rilascio di 24 ebrei a Cuneo
01/10/1943 Trasferimento in Germania degli ebrei inglesi concentrati a Bazzano (Bo)
16/10/1943 Rastrellamento del ghetto di Roma
18/10/1943 Da Roma parte il treno che arriva ad Auschwitz la notte del 22. Dei 1020 ebrei, 824 vengono assassinati il 23 ottobre nelle camere a gas. 149 uomini e 47 donne vengono trasferiti nei campi di lavoro
03/11/1943 Rastrellamento a Genova (operazione condotta dai tedeschi in collaborazione con la polizia italiana)
05/11/1943 Rastrellamento a Siena e Montecatini (operazione condotta dai tedeschi in collaborazione con la polizia italiana)
06/11/1943 Rastrellamento a Firenze (operazione condotta dai tedeschi in collaborazione con la polizia italiana)
07/11/1943 Rastrellamento a Bologna (operazione condotta dai tedeschi in collaborazione con la polizia italiana)
09/11/1943 Un treno parte da Firenze, carica altre persone a Bologna e arriva ad Auschwitz. Immessi nei campi di lavoro 13 uomini e 94 donne
26/11/1943 Nuovo rastrellamento a Firenze (operazione condotta dai tedeschi in collaborazione con la polizia italiana)
01/12/1943 Rastrellamento della polizia italiana a Mantova
05-06/12/1943 Rastrellamento della polizia italiana a Venezia
06/12/1943 Da Milano parte il treno carico di ebrei catturati a Milano e sul confine svizzero. Il treno arriva ad Auschwitz il 12 dicembre
07/12/1943 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz

26/01/1944 Da Carpi (Modena) parte un treno per Bergen Belsen con 83 ebrei anglo libici provenienti dal campo di Fossoli. Verranno tutti riconsegnati agli inglesi prima del 1945
28/01/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz. Sul treno gli anziani della Pia Casa Gentiluomo e dell’ospizio israelitico della città
30/01/1944 Da Milano parte un treno per Auschwitz con 605 ebrei catturati in Lombardia. Di essi, 477 vengono uccisi immediatamente nelle camere a gas e 128 immessi nei campi di lavoro
19/02/1944 Da Carpi parte un treno con 69 ebrei anglo libici trasportati a Bergen Belsen. Saranno tutti riconsegnati agli inglesi prima della fine della guerra
22/02/1944 Da Carpi parte un treno che arriva ad Auschwitz il 26 febbraio e che trasporta un numero di ebrei stimato tra 540 e 650. All’arrivo 153 persone (124 uomini e 29 donne) vengono selezionate per il lavoro, tutti le altre finiscono nelle camere a gas. Il più giovane (Leo Mariani) aveva tre mesi. La più vecchia (Anna Jona) aveva 89 anni
26/02/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
29/03/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
05/04/1944 Da Carpi parte un treno che fa tappa a Verona e Mantova dove vengono caricati altri ebrei. Il 10 aprile il convoglio arriva ad Auschwitz. Delle 609 persone trasportate, solo 50 sono sopravvissute alla Shoah. 154 uomini e 80 donne vennero selezionate per lavorare. 375 persone furono uccise subito. Tra loro 33 bambini e 41 ultrasettantenni. Il più giovane (Roberto Gattegno) aveva 10 mesi, la più anziana (Elena Ilda Toscano) ne aveva 89
27/04/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
16/05/1944 Da Carpi parte un treno che arriva ad Auschwitz il 22 maggio. Delle 582 persone censite, solo 60 sono sopravvissute. 186 uomini e 70 donne furono selezionati per lavorare. 326 persone vennero uccise subito nelle camere a gas: tra loro 42 bambini e 48 ultrasettantenni. Il più giovane (Richard Silberstein) aveva un mese, il più vecchio (Sanson Segre) aveva 89 anni. Nel viaggio verso il lager sul treno nacque un bimbo. Lo stesso giorno da Carpi parte un treno che fa tappa a Verona e va a Bergen Belsen, con 167 ebrei di nazionalità britannica, liberati prima del 1945.
19/05/1944 Parte da Milano un treno con destinazione Bergen Belsen
01/06/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
12/06/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
21/06/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
26/06/1944 Da Carpi parte un treno che fa tappa a Verona e prosegue per Auschwitz. A bordo un numero di ebrei tra 550 (quelli identificati e provenienti da Fossoli) e 1000. Dei 550 identificati solo 35 sono sopravvissuti. 231 vennero ammessi nei campi di lavoro, 319 furono uccisi subito. Tra loro 21 bambini e 150 ultrasettantenni. Il più giovane (Umberto Nacamulli) aveva due mesi. La più vecchia (Natalie Camerini) 92 anni
11/07/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
21/07/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
02/08/1944 Da Verona parte un treno che viene diviso in quattro convogli. Gli ebrei italiani puri vanno ad Auschwitz, dove arrivano il 6. Gli uomini figli di matrimoni misti vanno a Buchenwald, dove arrivano il 4. Le donne figlie di matrimoni misti vanno a Ravensbruck, dove arrivano il 5. Gli ebrei inglesi e di nazionalità neutrale a Bergen Belsen, dove arrivano il 6 agosto.Le informazioni sul numero di persone deportate sono incerte. Dei 245 ebrei identificati partiti da Fossoli con camion e saliti sul treno a Verona almeno 156 finiscono ad Auschwitz. Tra loro 11 bambini e 42 ultrasettantenni. Il più giovane (Giuseppe Sorias) aveva 3 anni, la più anziana (Celestina Guastalla) 84
11/08/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
02/09/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
03/10/1944 Parte da Trieste un treno con destinazione Auschwitz
24/10/1944 Parte da Bolzano-Gries un treno con destinazione Auschwitz
14/12/1944 Parte da Bolzano-Gries un treno con destinazione Ravensbruck e Flossenburg
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